Ripensare il nostro modo di abitare: un urbanista in viaggio per le metropoli del mondo

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di Antonella Tarpino

Articolo pubblicato su huffingtonpost.it

Nel suo libro Urbanità. Un viaggio in quattordici città per scoprire l’urbanistica, Carlo Ratti si sposta tra Amsterdam e Barcellona, Parigi e Melbourne, Milano e Dubai, esplorando le trasformazioni e i percorsi sperimentali in atto alla luce di quelle che sono le questioni cruciali dell’urbanistica contemporanea.

Colpisce fin dal titolo il libro dell’urbanista Carlo Ratti (che è anche una testimonianza in soggettiva): Urbanità. Un viaggio in quattordici città per scoprire l’urbanistica appena uscito da Einaudi. Noi non-urbanisti siamo abituati, infatti, a considerare il termine urbanità, urbano, certo un po’ demodè, legato più alla cortesia che alla civiltà urbanizzata anche se a sua volta la stessa parola civiltà ha a che fare – me ne accorgo mentre scrivo – con la civitas. La città è vero è un archetipo troppo potente anche perché per sua natura assume dentro di sé molteplici significati, segnati fin dagli esordi da opposti radicali: movimento e staticità.

Citando proprio il Lewis Mumford di The City in History, Ratti riconduce questa tensione a fattori ancestrali che risalgono alla frattura originaria, nell’evoluzione della vita, tra i protozoi, capaci in genere di muoversi liberamente, che dan forma al regno animale, e gli organismi relativamente “sessili” che appartengono al regno vegetale. Non è un caso, per arrivare fino alla scala umana, che la città nella sua dimensione plurale sia per eccellenza luogo di scambi, spazio di condivisione e confronto fra idee diverse.

Fedele a questo principio Ratti si definisce lui stesso un soggetto «interlocale» (secondo l’espressione di Suketu Metha) votato a una poliamorosità urbana simile a quella che sta trasformando molte relazioni sociali. Alla domanda: «Dove vivi?», risponde, «Faccio il bucato a Boston, Torino, Londra, Singapore…»

Nel libro-viaggio interurbano (che è più di un viaggio, un’osservazione interna alle città, spesso cantieri per il suo lavoro) fra Amsterdam e Barcellona, Parigi e Dubai, Milano e Melbourne….Ratti esplora le trasformazioni e i percorsi sperimentali in atto alla luce di quelle che sono le questioni cruciali dell’urbanistica contemporanea. Come mettere a punto, per esempio, la conversione di un nuovo quartiere «smart»?

Caso Melbourne. Nei tardi anni Ottanta particolarmente problematica era la situazione del Cbd – racconta – il quartiere dedicato agli affari che occupa il cuore storico della città australiana, con la sua maglia di vicoli strettissimi, risalente alla pianificazione pre-automobilistica d’epoca vittoriana e ancor più per il fatto che le infrastrutture del quartiere erano attive soltanto per una fascia di tempo molto limitata, dal lunedí al venerdí in orario d’ufficio secondo i dogmi di rigida separazione delle funzioni urbane, eredità della pianificazione modernista. Cosa sarebbe successo se si fosse cambiato approccio? Su indicazione dell’architetto capo Rob Adams, forte dell’esperienza maturata a Città del Capo, nell’arco di qualche anno il quartiere cominciò a cambiare volto e a essere vissuto in ogni fascia oraria o giorno della settimana. Si contrastò poi l’idea di espandere ulteriormente il perimetro urbano con  quella di aumentare la densità dell’abitato lungo le reti di trasporto pubblico. Un caso significativo.

Trasporto. Come sperimentare nuove forme di mobilità leggera in centri così comgestionati come le nostre città? Amsterdam, quanto a mobilità con tecnologie senza guidatore, è un esempio pilota. Le tecnologie self-driving promettono in effetti di rendere piú labile la distinzione tra modalità di trasporto pubbliche e private, accentuando la tendenza alla condivisione. Il veicolo senza guidatore potrebbe portarci al lavoro la mattina e poi, invece di restare parcheggiato, dare un passaggio a un membro della famiglia, a un vicino, o a chiunque altro in città. Questo consentirebbe una riduzione complessiva del numero dei veicoli circolanti, e delle aree di parcheggio, con vantaggi in termini di efficienza e sostenibilità. O come nel caso di una città con più vie d’acqua che d’asfalto come proprio Amsterdam – spiega Ratti – la mobilità autonoma può essere anche non su ruote ma galleggiante. Parliamo di una flotta di barchette autonome, capaci non solo di trasportare merci e passeggeri, ma anche di svolgere compiti legati al monitoraggio della città, grazie a una rete di sensori montati su ciascuna imbarcazione.

Ma ancora: su quali direttive avviare un grande progetto di rigenerazione urbana e nello specifico come intervenire in un insediamento informale? Particolarmente interessante il caso di Medellìn in Colombia e delle sue favelas diroccate. Il sindaco  si propose ai primi anni 2000 non di abbatterle per far posto al nuovo ma di conservare rigorosamente il tessuto urbano delle favelas progettando alcuni piccoli «inserti», per rimuovere le parti non agibili, e creando nuovi spazi pubblici: una piazza, una biblioteca, un campo di calcio. Promuovendo inoltre la creazione di collegamenti con la città pianificata mediante seggiovie o cabinovie per far fronte alle asperità del terreno. Ma come usare le nuove tecnologie – è una delle numerose domande che Ratti pone – per trasformare le favelas? Come sviluppare un modello Rio de Janeiro a vent’anni di distanza dal modello Medellín? L’idea è la seguente: applicare la tecnologia della scansione 3D, usata sempre di più nel settore dell’urbanistica e delle costruzioni, per andare a realizzare la prima mappatura di precisione di Rocinha, la più grande baraccopoli del Paese. Un compito che, a fronte della complessità del tessuto urbano, diventa invece possibile col digitale e i sistemi Lidar: apparecchi elettronici che permettono di misurare in profondità il territorio. La mappatura di un quartiere informale rappresenta infatti – osserva – il primo passo per identificare i singoli edifici.  E invece che praticare la demolizione su scala massiccia, si può pensare a interventi puntuali: piccole «incisioni» che permettano all’aria e alla luce del sole di entrare tra le case, rendendo salubri abitazioni altrimenti eccessivamente affastellate una sull’altra.

Per quanto riguarda l’integrazione poi tra il mondo del naturale e quello dell’artificiale, così da proporre una riconciliazione tra due modi dell’abitare, si può dire che Milano è tra le città più sperimentali. Basta con la città che colonizza la campagna, come nel secolo passato, ora è la campagna che ritorna in città. Grazie alle nuove tecnologie è possibile oggi portare la natura dove prima non c’era. In Italia, uno dei primi progetti di verde verticale architettonico è stato a Milano il Café Trussardi in piazza della Scala (su progetto dello stesso studio di Carlo Ratti e Associati) con tanto di giardino idroponico sospeso e la teca di cristallo del dehors sormontata da arbusti e specie rampicanti. Di immediata visibilità è poi il Bosco Verticale di Stefano Boeri a nord della stazione di Porta Garibaldi, un’icona della Milano contemporanea. La coppia di edifici, spiega, è il frutto di ricerche che hanno consentito di riprodurre un ecosistema naturale sulla facciata di un grattacielo, risolvendo ad esempio i problemi statici legati alla piantumazione di alberi di alto fusto fino a oltre 100 metri dal suolo.

Edifici che coniugano architettura contemporanea e natura ma non solo nel cuore della città. Milano – ho scoperto da pochi anni – ha uno dei parchi agricoli più grandi d’Europa (e chi lo direbbe?) Nel Parco Sud ci sono oltre 1400 aziende agricole, la cui attività principale è l’allevamento di bovini e suini; la coltura più diffusa è quella dei cereali (43%), seguono il riso ed il prato; l’ambiente naturale è connotato dalla presenza di aree boscate (da Cusago a Corbetta) parchi (Idroscalo ma non solo) e oasi naturalistiche. Almeno una sessantina di cascine sono di proprietà comunale e molte stanno conoscendo una nuova vita, con interventi sperimentali, tecnologie verdi, spazi per la formazione agricola.

Nuove formule che ci portano a superare vecchi parametri, gli stessi centro e periferia, campagna e città, nella consapevolezza che consumo di suolo, traffico congestionato, inquinamento, impongono un ripensamento radicale del nostro abitare secondo la lezione densa di suggestioni dello stesso Ratti.